Il percorso che condusse alla discriminazione giuridica degli ebrei nella Germania nazista fu quello che, insieme all'espropriazione dei beni ebraici, contraddistinse in modo specifico la prima fase (1933-1939) della politica razziale del regime. Il regime nazista, come il regime fascista in Italia, salì al potere con metodi legali (Hitler venne nominato Cancelliere dal presidente della Repubblica Hindenburg).
Il primo governo presieduto da Hitler fu in realtà un governo di coalizione che comprendeva anche personalità estranee al NSDAP e alcuni ministri, come Hjalmar Schacht, che fu responsabile del Ministero dell'economia tra il 1934 e il 1937, avevano un'idea della legalità un po' meno elastica di quella posseduta dai dirigenti del NSDAP. Il regime, dunque, fu molto attento a salvaguardare il formalismo giuridico, almeno sino al 1941. L'espulsione degli ebrei dalla pubblica amministrazione, la privazione della cittadinanza giuridica e dei diritti politici, l'apartheid nelle sue molteplici forme, il concentramento e persino l'utilizzo come mano d'opera schiavizzata vennero sempre preceduti da decreti che attribuivano legittimità giuridica alle successive azioni criminali contro gli ebrei. Quando, nel 1945, i principali responsabili dello sterminio degli ebrei vennero giudicati dal tribunale internazionale di Norimberga, i loro difensori (soprattutto quando gli imputati erano burocrati) ricorsero sistematicamente all'argomento secondo il quale essi avevano “semplicemente” applicato le leggi in vigore, come accade in qualunque Stato moderno. Gli aspetti più rilevanti del percorso discriminatorio furono la definizione della posizione giuridica dell'ebreo all'interno dello Stato tedesco e la definizione dell'ebreo in quanto tale. Non a caso, questi due elementi decisivi della legislazione antisemita vennero prodotti contestualmente ma in due tempi diversi, con le leggi di Norimberga del 15 settembre 1935 e con il regolamento attuativo di tali leggi, promulgato il 14 novembre 1935.
Il carattere in un certo senso tardivo delle “leggi di Norimberga” mette in luce un problema che, proprio dal punto di vista del formalismo giuridico, appare alquanto ingiustificabile: per quasi due anni e mezzo, dall'aprile 1933 al settembre 1935, i provvedimenti discriminatori nei confronti degli ebrei ebbero un carattere del tutto arbitrario, mancando non solo la loro giustificazione giuridica, ma addirittura una definizione giuridica dell'ebraismo. Dal momento in cui entrarono in vigore, tuttavia, le “leggi di Norimberga” legittimarono tutte le fasi successive delle persecuzioni antisemite in Germania. La scelta di inserire nel processo della discriminazione giuridica i decreti relativi all'identificazione degli ebrei e alla limitazione della loro libertà di movimento, dipende dal fatto che questi provvedimenti amministrativi rendevano operante una modalità discriminatoria di rapporto tra gli ebrei e lo Stato nazista: si trattava, in altri termini, di provvedimenti amministrativi che realizzavano compiutamente, nella quotidianità, la discriminazione giuridica tra ebrei e “ariani” prevista dalle “leggi di Norimberga”.
Per quanto riguarda il merito della definizione giuridica dell'ebraismo, è opportuno richiamare l'attenzione sul fatto che essa si imperniava su due cardini fondamentali: una presunta classificazione razziale e l'attribuzione alla presunta “razza” ebraica di caratteristiche biologiche che l'avrebbero resa gerarchicamente “inferiore” all'altrettanto presunta “razza” ariana. La definizione razziale ebbe un ruolo decisivo nel determinare anche l'atteggiamento delle parti implicate verso il processo di distruzione: non solo dei nazisti, ma degli stessi ebrei. Nelle epoche in cui l'avversione verso gli ebrei aveva una matrice religiosa, il singolo ebreo aveva la possibilità di scegliere, qualora lo desiderasse, la strada della conversione al Cristianesimo, che gli consentiva di sfuggire (tranne che in alcune, limitate epoche storiche) alle restrizioni anti-ebraiche. Il criterio razziale, invece, imprigionava l'ebreo in una irrevocabile condizione di “paria”, aprioristicamente condannato ad essere perseguitato (e poi a morire), quale che fosse il suo modo di pensare. Di qui nasceva il paradosso che caratterizzò il destino di quegli ebrei, soprattutto italiani, che avevano aderito, negli anni Venti e Trenta, al Fascismo, e che vennero ugualmente colpiti dalla legislazione razziale, varata nel 1938 per compiacere il potente alleato tedesco. E di qui nasceva l'atteggiamento degli ebrei tedeschi assimilati. La maggior parte degli ebrei tedeschi, infatti, si erano del tutto assimilati ai tedeschi non-ebrei; in molti casi, essi non compresero in tempo le implicazioni dell'impegno antisemita del regime nazista. Quando lo scoprirono, loro malgrado, erano già stati privati della tutela giuridica dello Stato, trasformati in pericolosi “nemici del popolo tedesco”, reietti in quella che consideravano in tutto e per tutto la loro patria.
Il criterio razziale della definizione del «nemico» ebraico, condusse insomma ad una classificazione che prescindeva interamente dal sentimento di identità nazionale o dalle convinzioni politiche che il singolo ebreo poteva possedere e lo poneva nella posizione di «nemico dello Stato» soltanto in base alla sua progenitura (ovvero in base ad una condizione che non poteva in alcun modo essere rimossa). Questa è forse la caratteristica peculiare dell'antisemitismo nazista - ciò che lo distingue da tutte le forme di antisemitismo precedenti.
È interessante osservare, tuttavia, come l'“essere ebreo” non fosse una condizione inequivocabile, ma il risultato di una complessa valutazione, di cui rende conto la seguente tabella, nella quale sono contenute le diverse categorie classificate dalla legislazione nazista. Questa classificazione determinerà, anche in seguito, una sorta di “ordine di priorità” nella discriminazione (prima) e nell'assassinio di massa (poi) degli ebrei. Le prime vittime delle discriminazioni amministrative furono gli ebrei non-tedeschi residenti in Germania (un gran numero di ebrei polacchi erano emigrati in Germania alla fine della prima guerra mondiale), poi gli ebrei tedeschi propriamente detti, poi, infine, i Mitschlinge di primo grado. Soltanto i cosiddetti Mitschlinge di secondo grado subirono le discriminazioni amministrative ma non la deportazione e la morte; questo privilegio, con tutta probabilità, fu determinato esclusivamente dal fatto che la seconda guerra mondiale terminò con la sconfitta della Germania e prima che il programma del genocidio degli ebrei d'Europa fosse portato a termine.
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